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– a cura di Filippo Capurro – Febbraio 2021 – 

Mi è capitato di leggere la recente sentenza Cass. 04/12/2020 n. 27913 in materia di mobbing, che ha attirato la mia attenzione su un punto in particolare.

E’ un caso di mobbing orizzontale, ossia attuato dai colleghi di pari livello della vittima.

In particolare una lavoratrice era stata interessata da una pluralità di insulti e offese da parte di alcuni colleghi.

Vi era stato poi un licenziamento per superamento del periodo di comporto a seguito della malattia derivata dalle vessazioni subite, ma di questo qui non mi occupo.

Nell’accertamento sulle vessazioni i giudici hanno rilevato che, se era pur vero che il datore di lavoro non era mai stato il diretto responsabile di alcuno degli episodi persecutori di cui la lavoratrice era stata destinataria, egli ne era stato informato sia dalla vittima stessa che da altri colleghi, ma non aveva adottato alcuna misura a tutela dell’integrità morale della stessa.

Importanti sono dunque state le segnalazioni al datore di lavoro circa le condotte improprie. Nell’impresa i canali a disposizione dei lavoratori possono essere diversi come ad esempio quelli contemplati nei modelli organizzativi implementati ai sensi del D.Lgs. 231/2001, in materia di responsabilità amministrativa degli enti, che devono contenere specifici sistemi di segnalazione da parte del personale di reati o irregolarità e, allo stesso tempo, di tutela del segnalante. 

La pronuncia qui segnalata, ripercorre il quadro normativo di riferimento alla base degli obblighi del datore di lavoro di tutelare l’incolumità dei propri dipendenti, oltre che dal punto di vista fisico, anche da quello psicologico.

Compare anzitutto il riferimento all’art. 2087 c.c., norma di carattere generale che impone il dovere di adottare tutte le misure volte alla tutela non solo dell’integrità fisica dei prestatori di lavoro come pure della personalità morale.

E’ poi menzionato l’art. 32 Cost., in materia di  salute, sul quale la Corte precisa che “Al riguardo, è altresì da osservare che la dottrina e la giurisprudenza più attente hanno sottolineato come le disposizione della Carta costituzionale abbiano segnato anche nella materia giuslavoristica un momento di rottura rispetto al sistema precedente “ed abbiano consacrato, di conseguenza, il definitivo ripudio dell’ideale produttivistico quale unico criterio cui improntare l’agire privato”, in considerazione del fatto che l’attività produttiva – anch’essa oggetto di tutela costituzionale, poiché attiene all’iniziativa economica privata quale manifestazione di essa (art. 41,  comma 1)”. 

Il particolare più interessante è però la menzione delle clausole generale di correttezza e buona fede di cui agli  agli artt. 1175 e 1375 c.c., nell’esecuzione rispettivamente dei rapporti obbligatori e tra controparti contrattuali, norme pacificamente applicabili anche a rapporti contrattuali  peculiari, quali quelli di lavoro.

Nella sentenza si legge: “Tale interpretazione estensiva della citata norma del codice civile (ndr. l’art. 2087 c.c.) si giustifica alla stregua dell’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità (cfr., già da epoca risalente, Cass. nn. 7768/95; 8422/97), sia in base al rilievo costituzionale del diritto alla salute – art. 32 Cost., sia per il principio di correttezza e buona fede nell’attuazione del rapporto obbligatorio – artt. 1175 e 1375 c.c., disposizioni caratterizzate dalla presenza di elementi “normativi” e di clausole generali (Generalklauseln) – cui deve essere improntato e deve ispirarsi anche lo svolgimento del rapporto di lavoro”.

Vi è poi un cenno alla rilevanza dei comportamenti omissivi e dell’obbligo giuridico di impedire l’evento può discendere, oltre che da una norma di legge o da una clausola contrattuale, anche da una specifica situazione che esiga una determinata attività, a tutela di un diritto altrui. Sicché è da considerare responsabile il soggetto che, pur consapevole del pericolo cui è esposto l’altrui diritto, ometta di intervenire per impedire l’evento dannoso. 

La materia degli obblighi di correttezza e buona fede ha trovato sovente riscontro in giurisprudenza, ma è ancora poco conosciuta e, a volte, poco utilizzata.

La giurisprudenza ha accolto però le più ampie potenzialità date dalle clausole generali.

Cass. 09/03/1991, n. 2503 parla apertamente di una “funzione integrativa” della buona fede, la quale, “anche se riferita al momento esecutivo […] concorre a determinare il comportamento dovuto, al di là di quanto sia espressamente stabilito nel regolamento contrattuale.

Secondo Cass. 10/04/1996, n. 3351, i principi di correttezza e buona fede possono generalmente rilevare “come norme di relazione con funzione di fonti integrative del contratto (art. 1374 c.c.), ove ineriscano a comportamenti dovuti in relazione ad obblighi di prestazione imposti al datore di lavoro dal contratto collettivo o da altro atto di autonomia privata”.

Spingendoci un po’ oltre al caso trattato, ma assi evocativa – se applicata alla materia della gestione del rapporto di lavoro – Cass. 18/09/2009, n. 20106 ha affermato che “disporre di un potere non è condizione sufficiente di un suo legittimo esercizio se, nella situazione data, la patologia del rapporto può essere superata facendo ricorso a rimedi che incidono sugli interessi contrapposti in modo più proporzionato”.

Un approdo molto significativo è in Cass. 02/08/2018 n. 20458 nella quale si legge: “Viene in rilievo, al riguardo, l’acquisita consapevolezza della intervenuta costituzionalizzazione del canone generale di buona fede oggettiva e correttezza, in ragione del suo porsi in sinergia con il dovere inderogabile di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., che a quella clausola generale attribuisce forza normativa e contenuti, funzionalizzando così il rapporto obbligatorio alla tutela anche dell’interesse del partner negoziale (cfr., Cass. S.U. 15/11/2007 n. 23726, Cass. S.U. 13/9/2005 n.18128)”.

Nella giurisprudenza lavoristica, a volte si ritrovano riferimenti alle clausole generali anche in relazione alla rilevanza dei comportamenti ritorsivi che possono essere insiti in alcuni atti del datore di lavoro, primo fra i quali il licenziamento.

Un terreno insomma di grande respiro quello delle clausole generale, sul quale tutti dovremo tenere gli occhi puntati.

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