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Il lavoratore è vincolato dall’obbligo di diligenza richiesta dalla natura della prestazione dovuta e dall’interesse dell’impresa (artt. 2104 e 1176 c.c.) e da quello di correttezza (art. 1175 c.c.) e di buona fede (art. 1375 c.c.).

La giurisprudenza è ricca di pronunce che hanno ritenuto illegittimo il comportamento del lavoratore che, durante la malattia, presti attività lavorativa a favore di terzi, anche non in concorrenza, dichiarando fondato il conseguente licenziamento.

Due recenti pronunce affrontano il tema con un taglio apparentemente assai diverso tra loro.

Cassazione 4 luglio 2018 n. 17514 ha affrontato il caso di un autista di pullman di un’impresa di noleggio privato che, durante un lungo periodo di assenza dal lavoro per infortunio, sia stato scoperto mentre lavorava presso un parcheggio di autovetture gestito da altri familiari. 

La pronuncia ha escluso la scarsa gravità della condotta ascritta al lavoratore, in quanto il protratto svolgimento di attività funzionali ad indicare ubicazione e modalità di parcheggio ai clienti del garage, unitamente al mancato utilizzo del collare cervicale prescritto dal medico curante a seguito dell’infortunio in itinere, erano indice di una condizione di salute incompatibile con lo stato di malattia. 

Viceversa un’ordinanza della Cassazione 4 luglio 2018 n. 17424 ha affermato che è illegittimo il licenziamento intimato ad un lavoratore assente dal lavoro per una gastroenterite, il quale nel periodo di astensione aveva svolto in proprio un’attività di tinteggiatura di esterni. In questo caso, ad avviso della Cassazione, l’attività lavorativa svolta dal dipendente non era tale da impedire o ritardare la guarigione e neppure era indice di un insussistente stato di malattia. 

L’aspetto essenziale è costituito dal rilievo che lo svolgimento di altra attività lavorativa durante l’assenza dal lavoro per malattia non è automaticamente riconducibile ad un illecito disciplinare, in quanto è necessario verificare se tale attività, alla luce del suo concreto svolgimento, risulti incompatibile con la condizione di morbilità alla base della sospensione del rapporto di lavoro o sia idonea ad impedire o ritardare la guarigione.

Resta ovviamente salva la rilevanza disciplinare che si avrebbe ove il lavoratore svolgesse attività a favore di concorrenti, in quanto comporterebbe violazione dell’obbligo di fedeltà (art. 2105 c.c).

La Cassazione chiarisce, in altri termini, che non sussiste un divieto assoluto di prestare attività lavorativa durante il periodo di assenza per malattia, a condizione che ciò non sia indice di simulazione dell’infermità o che possa compromettere la guarigione del lavoratore. 

Come sempre suggeriamo, ogni situazione va analizzata caso per caso al fine di mettere a fuoco le specifiche caratteristiche del comportamento del lavoratore.

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