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– a cura di Filippo Capurro e Alessia Capella – Marzo 2020 –

(1) Il Caso 

Segnaliamo oggi la sentenza del Tribunale di Venezia 14/01/2020 est. Bortoloso , in materia di licenziamento disciplinare e di rilevanza dei relativi vizi procedurali.

Il caso riguarda il licenziamento disciplinare comminato a un lavoratore prima del decorso del termine per le giustificazioni.

(2) Il diritto di difesa nella procedura disciplinare

Rilevante nella decisione è il concetto di “diritto di difesa” del lavoratore, principio ricavabile dal disposto dell’art. 7 L. n. 300/1970 (norma regolatrice del procedimento disciplinare), che, stabilisce che il datore di lavoro debba preventivamente contestare l’addebito al lavoratore, in forma scritta per le sanzioni più gravi del rimprovero verbale, fissando immutabilmente (cfr. Cass. civ., sez. lav., sent. 7 febbraio 1997, n. 1152 in Not. giur. lav., 1997, 656) i fatti della sua condotta inadempiente, così da metterlo in grado di poter svolgere utilmente le proprie difese (Cass. civ., sez. lav., sent. 29 marzo 2006, n. 7221).

Al lavoratore è assegnato un termine a difesa stabilito dalla contrattazione collettiva o in difetto dalla legge (cinque giorni), prima del quale non può essere irrogata la sanzione disciplinare.

Il mancato rispetto del predetto lasso temporale determina una violazione procedurale idonea a ledere il diritto di difesa del lavoratore.

(3) Quali conseguenze sul licenziamento nel caso di vizio della procedura disciplinare

Se esaminiamo la giurisprudenza sulla materia dei vizi della procedura disciplinare e delle loro conseguenze, il panorama è diversificato.

Nell’ambito del regime sanzionatorio che vede l’applicabilità dell’art. 18 L. 300/1970 (riformato dalla Legge Fornero, L. 92/2012), e cioè per i lavoratori assunti fino al 07/03/2015 da datori di lavoro che occupano oltre quindici dipendenti, si sono registrati orientamenti giurisprudenziali contrastanti:

  1. un primo indirizzo che nega il carattere sostanziale al vizio della intempestiva contestazione disciplinare, con conseguente applicazione della tutela indennitaria (debole);
  2. un secondo orientamento che reputa, invece, l’immediatezza della contestazione alla stregua di un elemento costitutivo del licenziamento, la cui mancanza consente l’applicazione della tutela reintegratoria, anche nella vigenza del novellato art. 18 dello Statuto dei lavoratori.

Da una parte, infatti, si riconduce la mancanza di tempestività della contestazione ad un mero vizio del procedimento disciplinare, con conseguente operatività del regime della c.d. tutela indennitaria limitata ex art. 18, comma 6, L. 300/1970. 

Così ad esempio:

“In tema di licenziamento disciplinare, la violazione dell’obbligo del datore di lavoro di sentire preventivamente il lavoratore a discolpa, quale presupposto dell’eventuale provvedimento di recesso, integra una violazione della procedura di cui all’art. 7 st. lav. e rende operativa la tutela prevista dal successivo art. 18, comma 6, quale modificato dalla l. n. 92 del 2012”. (Cass. 07/12/2016 , n. 25189).

Per altro verso, si ritiene che l’immediatezza della reazione datoriale integri un elemento costitutivo e sostanziale della giusta causa di recesso, tale, se mancante, da rivelarne l’insussistenza stessa del fatto, con applicazione del c.d. regime di tutela reintegratoria attenuata, ex art. 18, comma 4, L. 300/1970.

Precisamente:  

“Un fatto non tempestivamente contestato ai sensi dell’art. 7 l. 20 maggio 1970, n. 300 deve essere considerato come “insussistente” ai sensi dell’art. 18 della stessa legge; si tratta, infatti, di una violazione che, coinvolgendo i diritti di difesa del lavoratore, impedisce in radice che il giudice accerti la sussistenza o meno del “fatto” e, quindi, di valutarne la commissione effettiva; il quarto comma dell’art. 18, parlando di insussistenza del “fatto contestato” (quindi contestato regolarmente), non può che riguardare anche l’ipotesi in cui il fatto sia stato contestato abnormemente e cioè in aperta violazione dell’art. 7”. (Cass. 31/01/2017, n. 2513).

A comporre il contrasto giurisprudenziale sono intervenute le Sezioni Unite che, con sentenza n. 30985/2017 hanno chiarito che: 

“La dichiarazione giudiziale di risoluzione del licenziamento disciplinare conseguente all’accertamento di un ritardo notevole e non giustificato della contestazione dell’addebito posto a base del provvedimento di recesso, ricadente, in base al tempo nella disciplina dell’articolo 18 della legge 300/1970, come modificato dalla riforma Fornero legge 92/2012, articolo 1 comma 42) comporta l’applicazione della sanzione dell’indennità prevista dal quinto comma dell’articolo 18; non spetta, invece, la reintegrazione sul posto di lavoro, in quanto tale sanzione si applica a fattispecie diverse e più gravi. Le sezioni Unite risolvono così il rilevante contrasto interpretativo sorto in merito al regime sanzionatorio da applicare ai licenziamenti che risultano illegittimi per tardività della contestazione disciplinare. La questione riguarda i licenziamenti per i quali ancora trova applicazione l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori.”

Ciò in quanto: 

“Si è infatti affermato che, in materia di licenziamento disciplinare, il principio dell’immediatezza della contestazione mira, da un lato, ad assicurare al lavoratore incolpato il diritto di difesa nella sua effettività, così da consentirgli il pronto allestimento del materiale difensivo per poter contrastare più efficacemente il contenuto degli addebiti, e, dall’altro, nel caso di ritardo della contestazione, a tutelare il legittimo affidamento del prestatore – in relazione al carattere facoltativo dell’esercizio del potere disciplinare, nella cui esplicazione il datore di lavoro deve comportarsi in conformità ai canoni della buona fede – sulla mancanza di connotazioni disciplinari del fatto incriminabile”.

(4) La soluzione del caso del Tribunale di Venezia

La sentenza qui segnalata, a fronte del vizio di procedurale in concreto riscontrato, dichiarava la illegittimità del licenziamento, facendo applicazione del regime sanzionatorio economico c.d. forte (art. 3, comma 1, D.lgs. 23/2015) nella misura di otto mensilità. Non veniva dunque applicata la sanzione più tenue prevista dall’art. 4 in materia di “vizi formali e procedurali”.

Il Tribunale di Venezia ha fatto applicazione dei principi enucleati dalle Sezioni Uniti anche ai recessi disciplinati dal Job’s Act (d.lgs 23/2015), ritenendo che la violazione del diritto di difesa, determinato dall’irrogazione del provvedimento disciplinare espulsivo prima dello scadere del termine per presentare le giustificazioni, sia riconducibile ai vizi di cui all’art. 3 del citato decreto e non all’art. 4, attenendo l’invalidità a elemento costitutivo del provvedimento di recesso.

Non mancano tuttavia pronunce di segno opposto, le quali riconducono il vizio procedurale sotto l’egida dell’art. 4 d.lgs. 23/2015, con conseguente applicazione della tutela indennitaria debole (Tribunale Bari Ordinanza 18/04/2019).

Trattasi di un provvedimento che assume particolare rilevanza laddove, nell’applicazione del regime sanzionatorio di cui all’art. 4 del citato decreto, solleva una nuova questione di costituzionalità (l’ennesima per il job’s Act), attinente al meccanismo di calcolo automatico previsto per i casi di invalidità del licenziamento dovuti a vizi di motivazione o violazione della procedura.

Ci si limita a ricordare, in proposito, che la Consulta (Corte Cost. 08/11/2018 n. 194) aveva riguardato solamente il meccanismo automatico di calcolo di cui all’art. 3 d.lgs. 23/2014, sancendone l’illegittimità; nulla aveva statuito in merito ai restanti meccanismi di calcolo automatico previsti dal Jobs Act, con conseguente asimmetrie nelle modalità di applicazione dei regimi sanzionatori (discrezionale nel caso dell’art. 3, automatico nel caso dell’art. 4).

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